di Noor Hariri. I media descrivono quanto accaduto l’8 dicembre come un evento storico senza precedenti. A ciò aggiungo: è un evento psicologico senza precedenti. Un evento che, dal punto di vista della psicoanalisi, rappresenta un trauma che ci ha scossi tutti in modi e gradi diversi, trapassando la rete delle relazioni psicologiche interiori che generavano il senso su cui costruiamo la nostra esistenza.
Forse questo evento è il più importante, potente e duro trauma psicologico nella vita dei siriani, indipendentemente dalle loro posizioni, opinioni o modalità di pensiero attuali.
Un evento che penetra il nostro essere, distrugge tutte le fondamenta su cui è stata costruita l’identità siriana: tutti i valori, i criteri, le parole, tutte le paure e le credenze. Distrugge il gusto estetico e i sensi, scuote ogni cellula del corpo e ogni pensiero della mente, e ci riforma da capo, ma senza garanzie o soluzioni certe o immediate.
Alcuni di noi sono travolti dall’euforia della vittoria, mentre altri cominciano a sentire il trauma. E si chiedono: e ora? Chi sono io? Torno? Me ne vado? Ho un ruolo nella nuova Siria?
Alcuni si aggrappano al momento felice e ora non riescono a provare alcuna paura. Altri non provano altro che paura. E si concentrano solo sulle minacce imminenti.
Alcuni bruciano la bandiera rossa che ha accompagnato l’esistenza del vecchio regime e si adornano di verde. Mentre altri implorano: per favore, non bruciate la mia bandiera, questa non è del regime, lasciatemi la bandiera rossa e basta.
Con ciò stanno dicendo: lasciatemi vivere con ciò che mi rimane, lasciatemi qualcosa del mio “io”, qualcosa che posso comprendere.
Alcuni, quelli che hanno perso tutto, sono in grado di distruggere facilmente. Altri non possono distruggere, perché distruggere il regime significa distruggere il proprio io, formato su di esso.
E anche se la felicità per questo evento pervade tutti, molti si chiedono: davvero se ne andrà così semplicemente? Scomparirà con questa banalità?
Quel nemico che abbiamo a lungo odiato, o amato, scompare così? Il più stupido film hollywoodiano ci permetterebbe almeno di vedere il nemico soffrire, subire un processo adeguato alle sue azioni e crimini. E invece, il nostro nemico scompare in questo modo?
Chi è ora il nemico? Oppure chi è ora il padre (nel senso psicoanalitico)? Chi odiamo adesso? O chi amiamo? Chi riempirà questo vuoto nelle nostre anime?
Alcuni riempiono questo vuoto, odiando l’altro e rendendolo il nuovo nemico o idolatrando un nuovo simbolo. Altri ancora lo riempiono con l’amore, il lavoro, la costruzione e il pensiero sul futuro.
Ma ci sono, dietro questi schermi, persone senza voce, senza volto, senza energia. Persone più coraggiose di me e di te, perché non riescono a riempire questo vuoto né a riformare il proprio io così facilmente. Non riescono a odiare del tutto, né ad amare del tutto. Non riescono a trovare un nuovo nemico o un nuovo simbolo da idolatrare per dare senso alla loro esistenza. Questi sono quelli che hanno rimandato il loro dolore per lungo tempo, reprimendo il proprio grido per anni.
In psicoanalisi, questo tipo di depressione e dolore si chiama melanconia, un dolore incompleto e insolubile, un dolore causato dalla perdita, ma in cui la perdita stessa ha perso il proprio oggetto. Judith Butler lo descrive come un desiderio di dolore e un’incapacità di elaborarlo, mentre Hegel lo definisce come “la perdita della perdita”.
Nonostante tutto ciò, vedo questa crisi, in tutte le sue forme, come la più importante della nostra vita. Ci permetterà di creare un nuovo senso per la nostra esistenza e di pensare a nuove definizioni, lontano dai modelli preconfezionati, per la patria, il patriottismo, la dignità, le questioni grandi e piccole. Dobbiamo affrontarla con forza, coraggio e apertura.
Misericordia per le anime dei martiri. E forza e sicurezza per tutti noi.
Non amo la parola “tolleranza” né espressioni come “amatevi l’un l’altro” e simili.
Preferisco la parola “comprensione” o anche “empatia”. Se uno di noi non riesce a comprendere l’altro, allora cerchi almeno di empatizzare con lui.
10 dicembre 2024 (tradotto dall’arabo il 13 dicembre 2024)