Unità territoriale sotto occupazione


(di Lorenzo Trombetta) (ANSA) – ROMA, 16 GEN – L’urgenza di ripristinare “l’unità e la sovranità” territoriali della Siria post-Assad è evocata assieme alla necessità di riacquistare una reale “indipendenza politica”, durante gli incontri tra le nuove autorità di Damasco e i numerosi interlocutori turchi e occidentali.

Questo mentre Turchia, gli Stati Uniti e Israele rafforzano e tentano di espandere le rispettive presenze militari in varie zone della martoriata Siria. Un dato che spinge alcuni osservatori a esprimere dubbi sulla reale intenzione di Ankara e Washington, quest’ultima alleata strategica dello Stato ebraico, di sostenere il processo di transizione e di riunificazione della Siria, frammentata in diverse zone politico-militari durante gli oltre 14 anni di guerra.

La cronaca racconta che nelle ultime 24 ore l’esercito israeliano ha esteso il controllo nell’area tra le Alture occupate del Golan e la valle dello Yarmuk, nel sud-ovest del Paese, arrivando con i propri tank a soli 25 chilometri in linea d’aria dalla capitale siriana Damasco. Uno sviluppo che ha spinto il leader siriano di fatto, Ahmad Sharaa (Jolani) a esprimersi sulle insistenti azioni dell’esercito israeliano nel sud-ovest. E a dirsi favorevole a un eventuale ridispiegamento del contingente militare Onu nella zona cuscinetto stabilita nel 1974 tra Siria e Israele.

La tv siriana ha affermato che gli israeliani “terrorizzano gli abitanti”, distruggono infrastrutture civili necessarie alla fornitura di servizi come corrente elettrica e acqua potabile. Su questo, Muhammad Al Thani, premier del Qatar in visita oggi a Damasco ha chiesto a Israele di ritirarsi “immediatamente” dalla Siria, affermando che l’invasione israeliana “è un atto irrazionale”.

Nell’estremo nord-est della Siria, invece, aerei militari Usa sono atterrati a est dell’Eufrate per scaricare veicoli militari, munizioni, apparecchiature logistiche destinate a rafforzare le numerose basi Usa nella Siria nord-orientale e settentrionale, lì dove i russi si sono ritirati ai primi di dicembre.

Fonti locali hanno documentato che dall’inizio dell’anno gli Usa hanno organizzato un vero e proprio ponte aereo dal vicino Iraq per sostenere la presenza di circa 2mila unità rispetto alle 900 dell’estate scorsa.

La Turchia, dal canto suo, prosegue l’offensiva contro le forze curdo-siriane, espressione dell’ala locale del Partito dei lavoratori curdi (Pkk), considerata una formazione terroristica non solo da Ankara ma anche dall’Unione Europea e dagli stessi Usa.

Gli americani, che guidano la Nato di cui fa parte la Turchia, sono però alleati delle forze curdo-siriane, prese di mira da settimane dall’aviazione turca e dagli ascari arabo-siriani di Ankara. Nelle ultime ore, una persona è stata uccisa tra Raqqa e Manbij, nel nord della Siria, in bombardamenti aerei turchi, secondo quanto riferito dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria.

Da Ankara, il suo ministro degli esteri, Hassan Shaybani, accolto dalle autorità turche, principali sostenitrici del governo provvisorio di Sharaa, ha condannato l’occupazione israeliana ma non ha detto nulla rispetto alla presenza, sin dal 2018, delle truppe turche nel nord del Paese né della presenza delle truppe Usa nel nord-est. “La Siria non può essere divisa né geograficamente né etnicamente”, ha detto Shaybani, con un riferimento implicito alla necessità di ricomporre la frattura tra comunità curde e arabe. (ANSA).