Riparte l’inchiesta sull’esplosione del porto di Beirut



(di Lorenzo Trombetta) (ANSA) – ROMA, 17 GEN – Dopo un lungo periodo di immobilismo, l’inchiesta sull’esplosione del porto di Beirut, avvenuta il 4 agosto 2020 e che aveva ucciso circa 250 persone, si appresta a tornare in carreggiata. A dare slancio a questa ripresa è il nuovo scenario istituzionale, caratterizzato dall’elezione di Joseph Aoun come presidente della repubblica e dalla nomina di Nawaf Salam a primo ministro incaricato.

Nel giorno in cui il presidente francese Emmanuel Macron è tornato in Libano per complimentarsi con la nuova leadership, sono stati annunciati nuovi interrogatori da parte del giudice inquirente, Tareq Bitar, previsti per il 7 febbraio prossimo, a una serie di personalità di spicco delle istituzioni e degli organi di sicurezza.

L’esplosione, nella quale avevano perso la vita 246 persone, con oltre 6.000 feriti, molti dei quali resi invalidi a vita, e danneggiato un terzo della capitale libanese, era stata causata da 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, lasciate colpevolmente per sette anni in uno degli hangar del porto, a pochi passi dal centro affollato di Beirut.

Questo evento catastrofico, dai contorni ancora tutti da definire, si era verificato mentre tutto il Libano era già alle prese da un anno con la peggiore crisi finanziaria della sua storia, aggravandone le conseguenze in un Paese già in preda a difficoltà come la carenza di medicinali, elettricità e benzina.

Negli ultimi tre anni e mezzo, nonostante il giudice Bitar sia e riuscito a risalire a potenziali colpevoli nei luoghi chiave della gestione politica e finanziaria del paese, le elite al potere sono riuscite finora sempre a bloccare l’inchiesta, erigendo di fatto un vero e proprio muro di gomma.

I silos del porto di Beirut (foto di Lorenzo Trombetta, 2020)

Dopo la devastante escalation militare israeliana dell’autunno scorso nell’ambito dello scontro armato con gli Hezbollah, gli equilibri in Libano sembrano però mutare sullo sfondo di profondi cambiamenti regionali.

Il movimento armato libanese, sconfitto assieme all’Iran nella recente guerra con Israele, ha perso nelle ultime settimane anche il controllo delle retrovie nella vicina Siria, dove l’8 dicembre scorso si è dissolto improvvisamente, dopo più di mezzo secolo, il potere incarnato dalla famiglia Assad.

L’elezione di Joseph Aoun e la nomina di Fawaz Salam sono state fortemente volute dagli Stati Uniti, dalla Francia e dall’Arabia Saudita, Paesi tutti ostili all’influenza iraniana in Libano e nella regione.

Se una parte dell’opinione pubblica libanese descrive il premier incaricato Salam e il capo di Stato Aoun come “burattini” di attori stranieri, per molti altri libanesi i due leader incarnano la volontà di trasformare il Libano in uno Stato di diritto. In questo contesto, il giudice Bitar sembra ora aver trovato lo spiraglio giusto per riprendere le indagini. (ANSA).