(di Lorenzo Trombetta) (ANSA) – ROMA, 09 DIC – Un ex studente siriano di medicina, finito nelle carceri politiche del regime 13 anni fa perché aveva partecipato alle proteste governative del 2011, non ricorda nulla, nemmeno il suo nome. E i familiari faticano a riconoscerlo dietro il volto emaciato e trasfigurato dalle torture. Una donna esce dalla cella con quattro bambini, ma non sa chi è il loro padre. Mentre rivede la libertà dopo ben 43 anni di carcere Raghid Tatari, il decano dei prigionieri politici siriani, pilota militare imprigionato perché si era rifiutato di bombardare i civili durante il massacro di Hama compiuto dal governo nel 1982.
Sono solo alcune delle numerose storie dell’orrore e di liberazione che emergono dagli abissi oscuri delle famigerate ma impenetrabili carceri-mattatoi dell’ormai dissolto regime, incarnato per più di mezzo secolo dagli Assad. Sono ancora diverse migliaia i desaparecidos finiti, alcuni da più di 40 anni e spesso senza mai un processo, nelle segrete stanze di tortura nel sottosuolo di caserme e centri di detenzione.
Si stima che più di un migliaio di questi siano libanesi, rastrellati dalle truppe siriane durante la guerra civile del Libano combattuta tra il 1975 e il 1991. Queste e altre vicende del passato tornano prepotentemente d’attualità. Nelle ultime 24 ore le tristemente note prigioni politiche di Saydnaya e di Adra, attorno a Damasco, sono state letteralmente circondate e, in parte, invase da migliaia di familiari degli scomparsi, giunti a piedi e in auto alla ricerca dei loro cari o di tracce dei loro familiari nelle celle e negli angusti corridoi.
Le fazioni armate che tra sabato e domenica scorsi hanno preso il controllo della capitale e delle altre città “liberate” di Latakia, Hama, Tartus, hanno chiesto l’aiuto della Protezione civile della regione di Idlib, da anni sotto il controllo delle opposizioni e per questo abituata a scavare sotto le macerie degli edifici crollati durante i ripetuti bombardamenti governativi e russi.
Finora però i Caschi bianchi non sono riusciti a trovare alcun passaggio che possa condurre sotto presunti piani sotterranei del carcere di Saydnaya, sigillati dalle guardie carcerarie prima di darsi alla fuga sabato scorso. Il comitato delle famiglie dei prigionieri di Saydnaya riferisce che il carcere è ormai svuotato e che non sono stati trovati livelli sotterranei oltre a quelli già ispezionati nella cosiddetta Zona Rossa.
Lo stesso comitato dei familiari ha ricordato che attorno a questi centri di detenzione il regime aveva posto cinture di mine anti-uomo e anti-carro e invita i civili ad evitare assembramenti nelle aree circostanti. A Saydnaya, come ad Adra, dove c’era anche la sezione femminile, una serie di celle e corridoi sono stati sigillati da cancelli blindati e chiusi elettronicamente. Prima di fuggire, i secondini hanno disattivato parte della rete elettrica delle prigioni, bloccando di fatto gli accessi a queste zone delle carceri.
Le telecamere di sorveglianza sono rimaste però attive e dalla sala comandi erano invece visibili i detenuti, rimasti oltre i cancelli e ancora ignari di quello che stava succedendo oltre le sbarre e in tutto il Paese.
“Cosa succede?!”, chiede affannosamente un uomo accecato dalle torce dei cellulari dei soccorritori dentro il carcere di Saydnaya. “E’ caduto Assad!”, gli risponde qualcuno. (ANSA).