(di Lorenzo Trombetta) (ANSA) – ROMA, 04 SET – Uniti dal timore di esser sacrificati sull’altare della realpolitik mediorientale i leader curdo-siriani del nord-est e i loro acerrimi rivali delle opposizioni islamiste del nord-ovest sperano che sia rimandata il più possibile la tanto paventata normalizzazione dei rapporti tra il governo turco di Tayyip Recep Erdogan e quello siriano di Bashar al Assad.
Ma la ripresa, dopo un anno, dei pattugliamenti militari turco-russi nella Siria nord-orientale a due passi dalle postazioni curde e l’imposizione turca ai siriani che vogliono rientrare in Siria dalla Turchia di poterlo fare solo col passaporto siriano emesso da Damasco sono due fatti molto recenti che sembrano confermare l’intenzione di Ankara di avvertire gli alleati islamisti di Idlib e i rivali curdi di Qamishli.
Nella Siria martoriata dalle sanzioni occidentali e da più di 13 anni di guerra, Assad, sostenuto da Russia e Iran, a fine agosto aveva detto che per trattare con Erdogan non è necessario attendere il ritiro militare turco da Idlib. Un’apertura non indifferente, a cui era seguito l’ottimismo del ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, circa un imminente incontro tra rappresentanti dei tre paesi e dell’Iran per accelerare il processo di normalizzazione tra Turchia e Siria.
A lungo uniti da relazioni cordiali, i due paesi erano diventati di fatto nemici nel 2011. Di fronte alla repressione governativa delle proteste anti-Assad, Erdogan aveva preso netta posizione a favore delle opposizioni, sostenendo la successiva militarizzazione e la radicalizzazione islamica dell’insurrezione.
La Turchia, membro della Nato, era poi intervenuta direttamente nel conflitto, espandendo la sua influenza nel nord-ovest e, nel 2019, occupando territori nel nord-est, in funzione anti-Pkk, il partito dei lavoratori curdi a cui si ispirano le forze curdo-siriane sostenute invece dagli Stati Uniti in nome della lotta all’Isis.
Proprio alle autorità curdo-siriane Lavrov si era rivolto nei giorni scorsi invitandole ad abbandonare l’alleanza con Washington e a seguire invece l’abbraccio di Mosca: finirete traditi come gli afgani, aveva detto Lavrov, citato dai media siriani, ai dirigenti curdi in riferimento al controverso ritiro militare Usa dall’Afghanistan nel 2021.
Il possibile disgelo tra Ankara e Damasco, mediato da Mosca, favorirebbe tutti e tre gli attori. Il governo turco, sotto pressione in patria per la presenza di tre milioni e mezzo di profughi siriani e che persegue una politica esplicitamente anti-Pkk, potrebbe affermare di ottenere due risultati con un’unica mossa: facilitare il rimpatrio di centinaia di migliaia di siriani nel nord-ovest della Siria, e stringere nella morsa, assieme a Damasco, la regione curdo-siriana.
La Russia rafforzerebbe il proprio ruolo chiave nel definire gli equilibri mediorientali e costringerebbe gli Stati Uniti, presenti con 900 soldati nel nord-est e nell’est della Siria, a pensare seriamente al ritiro delle truppe già più volte evocato dall’ex presidente e candidato presidenziale americano Donald Trump.
Assad, dal canto suo, potrebbe gradualmente riprendere, almeno sulla carta, il controllo di territori strategici e ricchi di risorse energetiche. E accreditarsi in patria e all’estero come un attore di stabilità. Anche alla luce delle aperture diplomatiche al suo governo avviate da parte di paesi dell’Unione Europea, tra cui l’Italia. (ANSA).