Terrorismo e il cane di Pavlov


Nuove operazioni “anti-Isis” sono condotte mentre si scrive in tutto l’Iraq occidentale dall’esercito federale iracheno. Si parla di “covi distrutti” e del successo delle forze di Baghdad di contenere il fenomeno “terroristico”, in vista dell’avvio del mese islamico di Ramadan, che si svolgerà dai primi di aprile ai primi di maggio.

Secondo le fonti governative irachene, le aree interessate da queste nuove massicce operazioni militari sono molto vaste e comprendono porzioni delle regioni di Salah ad-Din, Ninive e Anbar, tutte a nord e a nord-ovest della capitale. Tra i distretti interessati c’è anche quello di Kirkuk, città al centro di una contesa regione ricca di risorse energetiche e che sorge lungo la linea di contatto tra comunità diverse.

Il colonnello dell’esercito iracheno, Muhammad al-Musawi, delle operazioni militari della regione di Anbar, afferma che l’obiettivo dell’operazione, battezzata “Solida volontà” (الإدارة الصلبة), è quello di “impedire all’Isis di garantirsi un rifugio e delle basi di appoggio” da cui lanciare attacchi.

In questi resoconti si enfatizza quasi sempre la dimensione militare e di sicurezza, con obiettivi limitati al “contenimento” del fenomeno, in un’ottica temporale piuttosto breve (“in vista del prossimo Ramadan…”).

E ciò può essere scontato e prevedibile se a parlare sono ufficiali militari in grado di eseguire ordini delle istituzioni. Ma anche gli stessi rappresentanti istituzionali, inclusi esponenti delle più alte cariche dello Stato, quasi sempre si esprimono a riguardo del fenomeno Isis e, più in generale, del fenomeno del “terrorismo”, in un’ottica di confronto militare e poliziesco con “i terroristi” diretto mirato a “estirpare” o almeno a contenere il fenomeno stesso.

E’ una visione temporale di breve termine quella che emerge dalla retorica e dalla pratica espresse dalle istituzioni politiche e dai loro bracci armati. Ed è una visione incentrata sugli aspetti tattici e non strategici del fenomeno.

Per cui le autorità sembrano agire in maniera pavloviana: in seguito a un attacco contro un posto di blocco dell’esercito in quella regione, il potere centrale ordina al suo strumento armato di contrastare il fenomeno nella sua espressione puntuale, in una esaltazione dell’hinc et nunc, qui e ora: distruggere covi, annientare i terroristi.

Si tratta di operazioni militari che disperdono risorse e alimentano il conflitto. Senza affrontare nemmeno lontanamente il cuore della questione: tensione sociale e politica espressa oggi con la violenza armata ma causata da diversi fattori rintracciabili sia nel presente sia nel passato recente e remoto.

Le autorità si pongono come baluardi della sicurezza e della stabilità quando in realtà la loro azione, alla luce di un patto sociale da più parti percepito come iniquo e non inclusivo, contribuisce a perpetuare una condizione di insicurezza e stabilità permanenti.

E così si finisce per abituarsi alla retorica della “minaccia del terrorismo” e della “lotta al terrorismo” perenne. Anche se l’Isis è stato dichiarato sconfitto in Iraq nel dicembre del 2017 e in Siria nella primavera del 2019, le notizie di nuovi “attacchi dell’Isis” e di nuove “operazioni militari anti-Isis” appaiono quasi ogni giorno nei notiziari dei media regionali.

Per scendere a fondo nella questione è bene porsi alcune domande. Nel mio ultimo libro (la copertina qui a destra) le trovate contestualizzate sulla base di riflessioni assai più articolate di quelle espresse in maniera sommaria in queste poche righe.

ALCUNE DOMANDE INIZIALI DI RICERCA
  • Chi sono “i terroristi” che affollano gli anfratti delle regioni di Ninive, Salah ad-Din e Anbar?
  • Dove sono nati? Chi sono i loro genitori?
  • Sono andati a scuola? Se sì, che scuole hanno frequentato?
  • Quanti anni hanno?
  • Sono nati “terroristi” oppure prima di imbracciare le armi avevano altre occupazioni?
  • Dove operano esattamente? E’ possibile disegnare una mappa accurata e attendibile delle aree dove questi “terroristi” operano, dove si rifugiano, dove vengono contrastati dalle forze “anti-terrorismo”?
  • Quali sono le risorse dei territori caratterizzati dalla violenza armata?
  • E’ possibile tracciare una cronologia accurata delle loro azioni armate? Quando cominciano?
  • E in che contesto locale, nazionale e regionale cominciano le azioni armate di questi “terroristi”?
  • Che rapporto hanno questi individui con le comunità delle aree dove essi operano? E’ possibile analizzare il rapporto tra “terroristi” e contesto in cui agiscono nel corso del tempo, per cercare di capire se questo rapporto è cambiato o è rimasto immutato nel tempo? E se è mutato, come e perché è cambiato? Oppure, se non è mutato, per quali ragioni è rimasto invariato?
  • Quali sono le forze locali e nazionali che combattono sul terreno questi “terroristi”? Sono forze dell’esercito regolare iracheno? Sono forze speciali composte da elementi selezionati e addestrati in modo esclusivo? Sono forze ausiliarie? Chi le finanzia?
  • In che modo le forze locali vengono cooptate dal potere centrale nella “lotta al terrorismo”?
  • Le élite al potere beneficiano dello status permanente di instabilità e insicurezza?
  • Esistono degli attori stranieri interessati ad alimentare la contrapposizione tra “minaccia del terrorismo” e “lotta al terrorismo”?
  • ….

Why this story?

About me

Sono Lorenzo Trombetta. Per 25 anni ho vissuto e lavorato dall’altra parte del Mediterraneo. Leggi di più…

perchE’ queste domande sono importanti?
  • Identificare questi attori armati serve a comprendere meglio il fenomeno, a capire quali sono i moventi sociali, economici e politici che soggiacciono alle loro scelte e azioni.
  • E’ possibile così analizzare il patto sociale esistente nelle diverse aree e individuare le articolazioni del sistema di potere che generano esclusione e che causano conflitto su scala locale e regionale.
  • E’ possibile provare a suggerire degli interventi politici a livello locale e regionale che vadano oltre la re-azione poliziesca e militare fine a se stessa e che compongano una strategia di più lungo termine per favorire lo sviluppo dei territori e delle società che vi abitano.

,